È record di imprese in provincia di Lecce. Il più alto numero mai registrato in Camera di Commercio. Le aziende sono 64.905 (dato al 30 settembre). Superato il numero raggiunto nel terzo trimestre 2006, quando sul Registro imprese se ne contarono 64.891.
È quanto emerge da un’analisi condotta da Davide Stasi, responsabile dell’Osservatorio Economico di Aforisma School of Management, socio Asfor (Associazione italiana per la formazione manageriale).
Nonostante l’emergenza innescata dal Covid-19, le aperture di nuove attività continuano a superare le chiusure. Anche nel periodo estivo si sono registrate più iscrizioni, che cancellazioni al Registro di Lecce. Il saldo della nati-mortalità delle attività economiche resta positivo nel Salento. Nell’ultimo trimestre (luglio-settembre), infatti, ne sono state aperte 960 e cancellate 456.
Lo studio prende in esame tutte le imprese registrate e quelle attive, cioè quelle iscritte in Camera di Commercio, che esercitano l’attività e non risultano avere procedure concorsuali in atto. Si tratta, quindi, di un sottoinsieme dello stock totale delle imprese registrate.
Negli ultimi sei mesi, dal 31 marzo al 30 settembre scorsi, le imprese attive sono aumentate di 1.090 unità, pari all’1,7 per cento: da 63.815 a 64.905. In crescita il commercio, comprensivo del ramo e-commerce, sostenuto dalle nuove piattaforme digitali, che conta 243 aziende in più (da 21.050 a 21.293); il settore delle costruzioni da 9.347 a 9.573, con un saldo di 226 nuove imprese; le attività dei servizi di alloggio e ristorazione crescono di 168 unità (da 5.425 a 5.593); l’agricoltura passa da 8.951 a 9.072, con un saldo di 121 aziende in più; le attività professionali, scientifiche e tecniche di 78 unità (da 1.632 a 1.710).
«È necessario guardare a questi dati con prudenza – spiega Davide Stasi, responsabile dell’Osservatorio Economico – Dobbiamo tenere conto dell’effetto sortito dai vari bonus, assieme ai contributi, ai ristori, ai finanziamenti a fondo perduto che hanno tamponato la temuta emorragia di imprese. Chiudere definitivamente una partita Iva – sottolinea Stasi – avrebbe significato perdere il diritto alle diverse forme di sussidio, rivolte in favore di ditte individuali, lavoratori autonomi, liberi professionisti, società di persone e di capitali, cooperative e consorzi. Se il coronavirus non ha ridotto il numero delle imprese, non si può dire lo stesso per i ricavi complessivi, ad eccezione di alcuni settori, come la sanità, l’e-commerce e le costruzioni».