C’e’ anche la moglie del capoclan tra gli indagati dalle Fiamme Gialle salentine nell’operazione denominata Battleship. Una indagine, che, scrivono gli inquirenti “dimostra ancora una volta, come in altri contesti mafiosi nazionali, il decisivo ruolo chiave delle donne del clan, non solo in grado di impartire ordini e dirigere le operazioni, ma anche in grado di farsi esse stesse protagoniste di minacce ed intimidazioni per imporre la forza e la presenza della ‘famiglia’ verso coloro i quali si fossero rivelati riluttanti ad accettare l’egemonia criminale dei Caracciolo-Montenegro nel Sud Salento”. Nel corso dell’inchiesta, 41 le persone denunciate, e 4 quelle arrestate in flagranza di reato per traffico di stupefacenti; sequestrati anche 1,208 chili di marijuana, 150 grammi di eroina e 40,45 grammi di cocaina.

I reati contestati ai destinatari di misure cautelari sono quelli di associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione a delinquere finalizzata alla produzione e al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, estorsione, rapina, furto e minaccia aggravata con l’uso delle armi. Le indagini, durate quasi due anni, hanno minuziosamente ricostruito l’operatività criminale del gruppo facente capo ad Alessandro Caracciolo, detto Frasola, e alla moglie, Maria Montenegro, entrambi di Monteroni, inizialmente affiliati ai Tornese, gruppo mafioso dal quale si sono poi gradualmente svincolati e con cui è maturata una crescente conflittualità. Una organizzazione, come sottolinea anche nel provvedimento emesso il gip, dotata di una struttura gerarchica e ramificata, che ha consentito ai Caracciolo-Montenegro di assumere il controllo totale delle attività delinquenziali nel territorio, riscuotendo il ‘punto’ sugli introiti delle attività criminali (ossia una percentuale su tutte le attività delittuose di rilievo compiute sul territorio, in misura non inferiore al 20%), imponendo tra l’altro servizi di guardiania in occasione di i spettacoli, commettendo estorsioni e furti, minacciando e attuando raid intimidatori, e destinando parte degli introiti degli affari illeali al sostegno degli affiliati detenuti e dei loro familiari.

La porzione di Salento su cui il clan aveva egemonia va da Monteroni a Leverano, Copertino, Porto Cesareo. “La prova del marcato ed ampio consenso sociale affermato sul territorio è dato dalle ripetute richieste rivolte ai vertici dell’organizzazione per dirimere le più disparate controversie private o per tornare in possesso di beni o merci precedentemente rubati”, scrivono gli inquirenti.